Un contributo di Pier Giuseppe Accornero

Alla «festa nazionale della Chiesa» – come qualcuno ha chiamato la festa di Tutti i santi – segue immediatamente la commemorazione dei fedeli defunti, l’uso antichissimo di pregare perché i trapassati siano liberati dalle loro pene.

La morte è l’unica cosa certa, dopo la nascita, ma viviamo come se non ci riguardasse per nulla.
Guai a nominarla: «Ê mancato» si dice e non «È morto». Orazio Petrosillo, un mio amico, bravissimo giornalista barese, collaboratore de «il nostro tempo», morto ancora in giovane età, commentava: «Se la vita è come il traffico continuo in
autostrada, la morte ci appare come uno spiacevole incidente.

Viviamo come se non dovessimo mai morire. Eppure, paradosso dei paradossi, il pensare alla morte
aiuterebbe a vivere meglio. Senza inutili angosce. Senza utopiche speranze. Senza fallaci sicurezze. L’odierna commemorazione dei fedeli defunti è un provvidenziale stop a questa incosciente noncuranza. Siamo come viaggiatori assurdamente incuranti di sapere dove porta il treno della vita».
La commemorazione dei defunti, subito dopo la festa dei santi, è una consuetudine documentata dai Padri della Chiesa. Tertulliano la dice di origine apostolica:
«Facciamo ogni anno l’anniversario dei morti, secondo le tradizioni dei nostri antenati»; Gregorio Nazianzeno, alla morte del fratello Cesario, promette di inviargli ogni anno i suoi suffragi.

Sant’Agostino si chiede: «Chi può dubitare che le preghiere, i sacrifici e le elemosine per i defunti non siano loro di sollievo?».
La giornata liturgica dedicata ai defunti appare nel secolo IX, in continuità con l’uso monastico dal secolo VII di dedicare un giorno completo alla preghiera per i defunti.
Amalario Fortunato di Metz (770-850), vescovo di Treveri in Germania, pone la memoria dei defunti subito dopo quella dei santi. Nel 998 Odilone di Mercoeur, abate di Cluny in Francia, ordina ai suoi monaci dell’Ordine cluniacense di celebrare il 2
novembre la «Commemorazione dei defunti». Il suo biografo Pier Damiani riporta il decreto dell’abate: «Il venerabile Odilone emanò, nel 998, per tutti i suoi monasteri cluniacensi un decreto generale, affinché, come il 1° novembre la Chiesa universale
celebra la festa di Tutti i santi, così nel giorno seguente si celebri la Messa per i defunti in Cristo con salmi elemosine e canti».  
Dal secolo XIII secolo, come «Anniversarium omnium animarum», la celebrazione è riconosciuta da tutta la Chiesa occidentale e appare nell’«Ordo Romanus XIV», poco prima del trasferimento della sede pontificia ad Avignone in Francia (1309-1377).
Dopo l’istituzione di questa memoria, la pietà verso le anime purganti andò sempre più intensificandosi e si elevarono chiese e altari, si lasciarono legati di Messe, si istituirono opere benefiche per suffragare le anime dei trapassati.

A Torino il beato Francesco Faà di Bruno, singolare figura di «santo sociale» – dopo aver visto, come ufficiale di Stato Maggiore e aiutante di campo del principe Vittorio Emanuele, gli orrori, i morti e il sangue della prima guerra d’Indipendenza (23 marzo 1848-22 agosto 1849) – insiste sulla devozione alle anime purganti e il 16 luglio 1881, coadiuvato da suor Maria Ferrero, fonda le Suore Minime di nostra Signora del suffragio e la sua opera prende il nome di «Conservatorio di nostra Signora del
suffragio e di Santa Zita».
Durante la Grande Guerra Benedetto XV estende alla Chiesa universale una consuetudine della Spagna: permette che il 2 novembre ogni sacerdote celebri tre Messe in suffragio dei defunti. Liturgisti e teologi concordano che nulla è più
conforme allo spirito di carità cristiana quanto la carità verso le anime purganti.
Il Martirologio romano offre questa descrizione: «Commemorazione di tutti i fedeli defunti, nella quale la santa madre Chiesa, già sollecita nel celebrare con le dovute lodi tutti i suoi figli che si allietano in cielo, si dà cura di intercedere presso Dio per le
anime di tutti coloro che ci hanno preceduti nel segno della fede e si sono addormentati nella speranza della risurrezione e per tutti coloro di cui, dall’inizio del mondo, solo Dio ha conosciuto la fede, perché purificati da ogni macchia di peccato,
entrati nella comunione della vita celeste, godano della visione della beatitudine eterna».  
Il giudizio di Dio, dopo la morte, assegna a ciascuno la giusta ricompensa: per quelli che muoiono in Cristo, sarà una perfetta ratifica del proprio operato svolto nel corso della vita; per quelli che muoiono lontano da Cristo, invece, una giusta riprovazione che li condannerà a restare soli con sé stessi nelle tenebre misteriose dell’al di là.

Pier Giuseppe Accornero