I valori che ispirano il Presidente russo e il Patriarca Kirill sono dichiarati: concordia sociale, difesa dei temi etici-religiosi tradizionali, esaltazione della tradizione ortodossa. Forte suona il richiamo alla «Quarta teoria politica» di Aleksandr Dugin, uno dei fautori dell’«idea di eternità», nella sua Piattaforma ideologica del Movimento euroasiatico.

La guerra, inattesa e largamente imprevista fino a poche settimane fa, ora rischia di apparirci senza via di uscita e quasi ineluttabile. Le recenti esternazioni di Kirill, Patriarca di Mosca, hanno sorpreso per la loro apparente duttilità verso la visione ufficiale del conflitto. Sorprendenti in realtà non lo sono. Esse rivelano un modo di relazionarsi della sfera religiosa con la realtà politica assai diverso da come vorrebbe la visione laica, largamente diffusa in Europa. In questa parte dell’Europa la religione o si dà per ininfluente nell’ambito pubblico o decisamente distinta se non separata da esso. Ucraina e Russia, le due nazioni più importanti a maggioranza cristiana ortodossa, da anni sono percorse da una fortissima tensione politica in cui la religione esercita un forte impatto.

Alle soglie della guerra, nel 2018 Porošenko, candidato alla rielezione presidenziale dell’Ucraina, per battere Zelensky, poi vincitore e attuale presidente, sostenne fortemente la richiesta della «autocefalia» (autonomia) della Chiesa ortodossa locale dal Patriarcato di Mosca. Intervenne personalmente presso Bartolomeo I, Patriarca di Costantinopoli, primus inter pares di tutte le gerarchie ortodosse. In un Sinodo del gennaio 2019, rivendicando appunto il suo tradizionale «primato di onore», egli consegnò definitivamente il «tomos» (decreto) dell’autonomia da esporre nella Cattedrale di Kiev.

Durissima la reazione di Mosca, a cui rimase comunque fedele la maggioranza degli ortodossi ucraini, mentre quelli legati alla nuova Chiesa autocefala erano dichiarati scismatici, evocando il grande scisma dai cattolici nel 1054. La rivendicazione di autonomia religiosa dell’Ucraina ha tuttavia radici ben più profonde e si ripresenta ad ogni importante svolta politica. Esplose alla caduta dello zar, ma venne repressa duramente dai bolševiki.

Si ripropose allo sfaldarsi del sistema sovietico. E ne fu autore principale Elcyn. Nell’incontro segreto e proditorio alla foresta di Belovezha, d’intesa con A. Kravčuk e St. Šuškevič, dirigenti di Ucraina e Bielorussia, decretò la fine di Gorbačev.

Allora una parte della Chiesa si autodichiarò Patriarcato. Non riconosciuto però dalle altre Chiese. Suona davvero molto parziale il giudizio che si sente spesso ripetere oggi sulle «umiliazioni» della Russia da parte dell’Occidente come una delle cause della guerra. Più propriamente bisognerebbe invece ammettere che fu la stessa Russia, in alcuni decisivi tornanti, a umiliare se stessa. Più in generale la caduta dell’Urss si verificò non solo e non soprattutto per pressioni esterne, bensì per crescente inefficienza dei suoi programmi, benché non tutto certo fosse fallimentare.

L’accaparramento selvaggio delle risorse principali della ex Unione Sovietica da parte di coloro che, al suo interno, poco prima del crollo ne detenevano la dirigenza e ora se ne facevano padroni, fu una ulteriore grave autoumiliazione.

Essa produsse quella oligarchia che costituisce un fattore allo stesso tempo fondamentale, ma impenetrabile del potere nella Russia in pace e in guerra. Putin ha saputo esserne regista e colluso. Nel tempo è riuscito a costruirsi una solida base di consenso popolare e un’immagine ben più che politica, quasi di rinata sacralità imperiale.

Il Patriarca Kirill, lo ha riconosciuto ripetutamente definendolo un «miracolo di Dio» (elezioni del 2012). I valori di fondo che paiono ispirare entrambi sono apertamente dichiarati e continuamente ribaditi in ogni importante occasione. In sintesi: la concordia sociale, la difesa dei temi etici e religiosi tradizionali, l’impegno formativo delle nuove generazioni, la esaltazione della tradizione ortodossa millenaria della Russia.

«La caduta di un Impero, la lezione di Bisanzio» (2008), un film di altissima audience, prodotto e diretto da Tichon Ševkunov, abate dell’importante monastero Sretenskij, sostiene che la caduta di Bisanzio non fosse dovuta alla potenza esterna dell’Islam, ma alla corruzione introdotta nei costumi dell’impero cristiano d’oriente dalla presenza degli occidentali.

Sia Putin sia la predicazione dell’ortodossia hanno accentuato nel tempo una dura carica polemica nei confronti di quella che abitualmente si riassume sotto la voce «modernità». Forte suona il richiamo alla «quarta teoria politica» di Aleksandr Dugin, uno dei fautori dell’«idea di eternità», nella sua «Piattaforma ideologica del Movimento Euroasiatico». In sintesi: una volta sconfitti fascismo e nazismo, non restavano che comunismo e liberalismo. Ha vinto il liberalismo con il suo «tutto è permesso », con il suo multiculturalismo confusionario, con la sua resa liquida della sessualità e della famiglia.

Putin rivendica la guida in questo processo di contrasto all’Occidente. E Kirill pare riconoscere in lui l’espressione profonda dell’anima russa: «la forza dello spirito dell’uomo russo e della sua fede nei principi che sono fondamento sicuro di riuscita: e questa è la ragione principale per la quale la Russia è invincibile». In ciò si realizzerebbe la tradizionale «sinfonia», secondo cui «paese e stato non si possono immaginare senza Chiesa ortodossa». Molto da rivedere, nella sinfonia, al tragico bagliore della guerra e prima ancora.

Ermis SEGATTI