È terminato ai primi di novembre il restauro dell’altare maggiore della chiesa del Gesù, cara ai pianezzesi. La chiesa fu voluta dalla confraternita legata alla devozione del SS. Nome di Gesù, predicata in Piemonte da San Bernardino da Siena nel 1414. La costruzione, iniziata nel 1680 e terminata nel 1682, fu resa possibile dal forte contributo in denaro del Consiglio Generale della Comunità.
Armonicamente ben costruita, con un’elegante facciata in paramano a piani sovrapposti separati da un cornicione, presenta gli elementi caratteristici dell’architettura seicentesca. Scandita da lesene che la suddividono in sei specchi, termina con un timpano sormontato da brevi pinnacoli. Al centro, sopra il portone d’ingresso, una finestra tripartita da due colonnine alleggerisce l’insieme e dà luce alla navata. La chiesa ha una sola navata interrotta da due cappelle laterali.
Nel presbiterio campeggia l’altare maggiore; originariamente in cotto, fu rifatto in stucco dipinto ad imitazione di marmo nel 1780 e più volte rimaneggiato.
Imponente e scenografico ha colonne tortili speculari a coppie, e capitello composito a sostegno della trabeazione mossa ed elegante. Su di essa poggia una grande copia del quadro della Consolata.
La pala d’altare è una tavola centinata dipinta e firmata da Rodolfo Morgari, datata 1860. Rappresenta la “Circoncisione di Gesù”. Il tabernacolo, dì legno dorato, è scolpito secondo ritmi barocchi aggraziati e modulati nell’elegante rilievo dei festoni tra le volute, e nei delicati puttini sugli spigoli smussati.
Ai lati dell’altare due statue: San Grato a sinistra e San Bernardino da Siena a destra. Entrambe le statue, in intonaco rifinito in stucco, sono inserite in una nicchia sovrastata da un fastigio con puttino.
Prima del restauro, i finti marmi erano sormontati da vernici ormai alterate verso tonalità cupe e ambrate che impedivano la lettura della brillantezza originale, tali finiture lustre erano a loro volta state riprese con stesure manutentive che conferiscono un aspetto lucido che si allontana da quella che doveva essere la più morbida lucentezza originale.
In generale, da una visione da basso, prima dell’attuale restauro, si percepivano anche numerose piccole lacune di preparazione a gesso e colla e di lamina dorata, come numerose fessurazioni tra le varie pannellature che definiscono parte degli elementi decorativi che compongono l’imponente architettura decorata, oltre ai depositi di sporco organico che erano diffusi su tutte le superfici, in modo particolarmente sensibile nei numerosi aggetti dove fisiologicamente si riscontrano gli accumuli più significativi.
Sia il cielo di fondo, (un blu notte molto scuro e steso con legante vinilico non coerente per tono quindi ma soprattutto non compatibile alla conservazione per mancanza di traspirabilità) su cui furono anche applicate le stelle dorate di recente fattura e sia le nicchie e le statue erano di tonalità sbagliata e soprattutto non in epoca con tutto il complesso di altare.
L’attuale restauro ha quindi riportato l’opera alla fase decorativa precedente, alla fine del XIX secolo, forse i primi anni del ‘900, quando furono eseguite le dorature e i settecenteschi monocromi di colore avorio furono ripresi con tonalità simili ma di cromie più grigia.
Il lavoro è stato condotto dalla ditta di restauro in associazione di Impresa tra: Moselli Riccardo, Zaffiri Ingrid, Chiaudano Chiara e Galliano Paola,
Eseguito dalle restauratrici Selle Francesca e Binda Federica in collaborazione con Baravalle Letizia, Romeo Francesca, Dosio Carlotta, Greganti Viviana e Dimopoli Roberta.
Riccardo Moselli