I Vescovi del Sinodo della Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca hanno rivolto un appello al Patriarca di Mosca Kirill, molto vicino a Putin, perché «cessino le ostilità»

Il 28 febbraio i Vescovi del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca, guidati dal metropolita Onufryj, hanno rivolto un appello al Patriarca di Mosca Kirill, notoriamente molto vicino al Presidente Putin, chiedendo che intervenga urgentemente per la «cessazione dello spargimento di sangue fratricida» in Ucraina e per invitare la «leadership della Federazione russa» a «cessare immediatamente le ostilità».

In parallelo i vescovi della Polonia e l’arcivescovo Gadecki, presidente della Conferenza episcopale polacca, ha indirizzato a Kirill e a tutta la Chiesa di Russia, a Onufryj, il metropolita di Kiev, a Epifanio, metropolita di Kiev e di tutta la Russia-Ucraina, primate della Chiesa autocefala ortodossa in Ucraina, all’arcivescovo Szewczuk, primate della Chiesa greco cattolica ucraina, a monsignor Paolo Pezzi, presidente della Conferenza episcopale cattolica della Russia, la preghiera a unire «le nostre forze spirituali di fedeli in Cristo nelle diverse confessioni della Russia, dell’Ucraina e della Polonia per scongiurare lo spettro di un’altra guerra nella nostra regione». L’arcivescovo Gadecki ha ricordato che «ogni guerra è una tragedia dell’umanità» soprattutto se ad iniziarla sono popoli fratelli quello russo e quello ucraino, entrambi cristiani e slavi.

Da quando è iniziata la guerra non si risparmiano i notiziari e i dibattiti per ricostruire le cause e, in qualche  luogo, si dibatte sull’identità nazionale ucraina e in che misura essa sia diversa da quella russa. Pochissimi però considerano fra gli elementi che possono essere unificanti – o ulteriormente divisori – quello religioso, che in realtà pervade la storia delle relazioni sia storiche che recenti fra i due paesi, nel bene e nel male. Secondo alcune statistiche, come sempre imprecise e discutibili, i cristiani sono l’86% della popolazione, gli atei circa il 10%, i musulmani l’1,5%, un 0,1% di ebrei oltre poche centinaia di Mormoni e Testimoni di Geova.

L’incontro con il cristianesimo risale alla metà del X secolo, quando il principe Vladimir attua una politica di espansione della Rus’ di Kiev, cercando di annettere parte della Galizia nel 981 e poi i Bizantini di Crimea nel 987. L’incontro con i Bizantini segna una svolta determinante perché il principe nel 988 decide di convertirsi al cristianesimo affascinato dalla liturgia orientale, così almeno riportano le cronache che lo vedono decidere fra il tradizionale paganesimo, l’islam, il cristianesimo latino e quello bizantino.

La Chiesa russa segue i Bizantini nello scisma da Roma del XI sec. e mantiene nel tempo la sua identità ortodossa spostando nel 1326 la sede della Chiesa da Kiev a Mosca ad opera del metropolita Petr, seguito l’anno dopo dallo zar Ivan I, che pone proprio a Mosca la capitale dei suoi territori. Quando nel 1439 Bisanzio firma l’unificazione con Roma nel Concilio di Firenze, Mosca si dissocia e rivendica un Patriarcato autonomo che tale rimane nei secoli successivi, includendo anche la sede di Kiev.

Se la maggioranza è ortodossa, resta viva anche una minoranza che decide di unirsi a Roma ratificando questo legame con l’Unione di Brest nel 1595, riconfermata nel 1596 a Brest-Litovsk, che mantiene il greco come lingua liturgica. Sottoposta a continue discriminazioni, quando non vere e proprie persecuzioni, i cosiddetti «uniati» restano una parte considerevole della popolazione cristiana dell’Ucraina ancora oggi. Oltre a questi un’ulteriore minoranza è fedele a Roma con il rito latino. La presenza dell’islam risale invece alle invasioni mongole operate da Batu, nipote di Gengis Khan, quando invade la zona e conquista Kiev nel 1240. Rientrato in patria nel 1242, causa la morte dello zio, lascia una comunità musulmana che si rafforza significativamente con le nuove incursioni dei Tatari mongoli nel XIV sec., definitivamente fermate solo da Ivan III nel 1480.

L’islam rimane fi no ad oggi una costante in diverse aree dell’Ucraina – Lipka, Volinia e Podolia – e soprattutto nella penisola di Crimea. Sunnita di appartenenza, riconosce l’autorità di un Mufti oltre agli imam che guidano le comunità locali. Anche i musulmani sono da sempre discriminati. Subiscono una violenta persecuzione sotto il governo di Stalin, che li accusa di collaborazionismo con Hitler e li condanna alla deportazione in Kazakistan e Uzbekistan. Più del 45% dei musulmani muoiono tra il ‘44 e il ’45 per fame e i sopravvissuti vedono le loro proprietà incamerate dal governo russo. La possibilità di rientrare pacificamente si concretizza solo nel 1989 con il cambio di regime, la caduta dell’Urss e l’indipendenza dell’Ucraina nel 1991.

La Chiesa greco-cattolica ucraina nei secoli è stata sottoposta a continue discriminazioni. Nel 2014 i musulmani (1,5% della popolazione) si sono schierati contro l’annessione della Crimea

Con la pretese di unificazione della Crimea da parte russa nel 2014, i musulmani si sono schierati per l’indipendenza. Nel 2014 l’allora presidente della Mejlis, assemblea rappresentativa dei musulmani tatari, Refat Chubarov aveva invitato a non andare a votare il referendum di annessione, mentre il mustafa Dzhemilev, deputato a Kiev, aveva invocato la resistenza violenta. Posizioni sostenute dal governo turco tanto che sempre nel 2014 il ministro degli esteri Davutoglu aveva dichiarato che «il futuro dei nostri parenti, i tatari di Crimea, è la priorità per noi. La pace è essenziale per la Turchia e faremo tutto il necessario per questo scopo».

Dichiarazioni poco utili, il referendum si è tenuto e l’annessione è avvenuta. La risposta islamica si è differenziata da un canto la chiusura delle comunità in sé stesse, l’attenzione ad attività formative e di assistenza; dall’altro, posizioni più combattive, che hanno suscitato le attenzioni del governo russo e operazioni di intelligence per identifi care e catturare esponenti di Hizb ut Tahrir, organizzazione inserita nell’elenco dei gruppi terroristi. Il leader Zekirja Muratov nel 2015 è stato condannato a 11 anni di carcere in un lager, accusato di operazioni terroristiche.

Secondo la Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre, anche diverse comunità cristiane, non filo russe, sono da tempo sotto pressione. Chiese e luoghi di preghiera sono stati occupati da forze governative e destinati a scopi diversi, la stampa degli ortodossi del Patriarcato di Kiev e degli uniati è sotto controllo.

Nella Costituzione del 16 maggio 2014 della auto proclamata Repubblica Popolare di Donetsk, filo russa, si specifica che la religione dominante è il Cristianesimo ortodosso, facente capo al Patriarcato di Mosca. Le tensioni si sono acuite dopo che la Chiesa ortodossa di Kiev ha ottenuto da Costantinopoli l’autocefalia nel 2018 trasformandosi in un Patriarcato, separato da quello di Mosca.

Una vera ferita per il Patriarcato russo che aveva in Kiev la propria culla di origine. Sempre secondo l’Acs oggi tra le comunità religiose più colpite figurano la Chiesa ortodossa dell’Ucraina del Patriarcato di Kiev, precedentemente denominata Chiesa ortodossa ucraina, la Chiesa greco-cattolica ucraina, i cristiani protestanti, i Testimoni di Geova e i Mormoni.

Dopo l’invasione da parte della Russia della scorsa settimana, tutte le chiese, indistintamente, con un’operazione che forse avrebbe dovuto avvenire qualche tempo prima, si sono dichiarate contro la guerra e hanno fatto appelli alla pace e al dialogo. A loro si sono unite le comunità islamiche ed ebraiche. E forse, sull’esempio di quanto fatto dal Santo Padre Francesco, un vero tentativo di riportare i contendenti al tavolo delle trattative può essere operato proprio dal mondo religioso.

Silvia SCARANARI – LaVoceeilTempo 13 marzo 2022